La pandemia ha fermato tutti, chi con forza chi con coscienza.  La fase 2 della quarantena ci vede affacciarci ad un mondo nuovo e diverso da quello che conoscevamo prima.

Chi ha aspettato con impazienza di poter ricominciare la vita con la “normalità di prima” sta facendo i conti con la frustrazione che niente è più come prima.

Andare al bar non è come prima, camminare, correre, pedalare non è più come prima.
Non si tratta di aspettare ancora un po’, e nemmeno “solo” di accettare la convivenza con il virus o di avere “coraggio”. Si tratta piuttosto di ascoltarsi con umiltà, ponendoci con noi stessi come ci si pone davanti a qualcosa che ascoltiamo per la prima volta e capire come siamo ora dopo che questa esperienza ha toccato tutti, nessuno escluso, su tutto il pianeta.

A ricordarci che le cose sono diverse e a non consentirci di far finta che nulla sia accaduto, anche solo per un attimo, ci sono le mascherine i guanti e tutte le buone prassi da seguire per la prevenzione del contagio.

La mascherina, letteralmente, ci separa da un sorriso.

Mascherine e altri dispositivi di “protezione individuale” veicolano con la loro stessa definizione un messaggio che ,in questo momento, è fuorviante per la psiche collettiva.

PROTEZIONE DI CHI?

Se tutti indossassimo la mascherina e ci attenessimo alle regole che ci stanno insegnando il problema non si porrebbe: saremmo tutti protetti.
Invece accade che ci sono persone che non la indossano e quelle che la indossano in modo improprio. Allora la questione si pone e diventa rilevante: queste persone non proteggono se stesse o non proteggono gli altri?

Chi scrive non è un epidemiologo né pretende di elargire insegnamenti sulle buone prassi in fase 2 (anche se a dire il vero dovremmo poter essere tutti esperti, vista la costante e ridondante comunicazione che viene fatta per educare tutta la popolazione, senza lasciare nessuno indietro).
La riflessione che mi pongo è di tipo psicologico.

E’ evidente che non sono e non saranno le leggi e le sanzioni a persuadere ogni cittadino al giusto comportamento, come sempre è un problema di “educazione civica”.
Si tratta di aver interiorizzato una regola ed averne appreso il senso. Si tratta, quindi, di attingere ad una risorsa INTERNA a ciascuno di noi.
Come si fa a stimolare la crescita “interna” affinché dall’esterno si possa tutti giovare del senso di responsabilità individuale?

Iniziamo con il rispondere al quesito iniziale. CHI DEVO PROTEGGERE?

Le buone prassi che ci hanno insegnato servono principalmente a non contagiare piuttosto che ad evitare di essere contagiati.

Vuol dire che la mascherina chirurgica mi protegge poco dagli altri ma protegge molto gli altri da me (che potrei essere veicolo di contagio e non saperlo).

Mascherina, così come guanti, distanza, igienizzazione delle mani, attenzione ai contatti, sono procedure di CURA dell’altro prima che di DIFESA dall’altro.

 

Il giusto assetto emotivo sintonizza ciascuno con il giusto comportamento da attuare.

Chi teme di essere nocivo si muove con cura e rispetto degli altri, come quando si cammina con un coltello in mano. So di essere un potenziale pericolo e quindi mi muovo con attenzione e se incontro qualcuno cerco di non ferirlo.
Se ti muovi nell’area della cura senti di esprimere gentilezza chiedendo al passante di mantenere la distanza (lo fai per lui), se ti muovi nell’area della difesa senti disagio nel chiederlo (lo fai per tenere lui lontano da te).

Chi teme di essere contagiato e vede gli altri come un pericolo entra in una condizione mentale che risulta fallimentare in questa cosiddetta “fase 2”.  Se ho un assetto mentale che mi guida alla “difesa dall’altro” oscillerò tra l’evitamento (evito di uscire da casa, evito di incontrare persone, evito perfino lo sguardo quando incrocio qualcuno sul marciapiede) e la spavalderia (esco ad ogni occasione, non indosso la mascherina perché “non ho paura del virus”, sfido la sorte rincorrendo un’idea di normalità oramai lontana nei ricordi). Nel primo caso danneggio me stesso, nel secondo metto di fatto a rischio gli altri.

Posizionarsi nell’area semantica della CURA ci aiuta quindi anche a transitare in questa fase 2 con il giusto passo, senza corse all’impazzata e senza restare congelati nella fase 1.

Visto che la risorsa a cui dobbiamo attingere è INTERNA, vediamo di partire proprio “da dentro” per capire come realmente siamo collocati rispetto all’esterno. Come ci muoviamo? Siamo nell’area della cura o della difesa?

 

DIMMI COSA PROVI E TI DIRO’ IN CHE AREA SEI…

Cosa provi quando incontri qualcuno che indossa la mascherina? (con “mascherina” si definisce in modo sintetico “rispetto delle buone prassi”)
Cosa provi quando incontri qualcuno che non la indossa?

Cerca tra le vignette quella che maggiormente somiglia al tuo sentire nell’incontro con una persona che rispetta scrupolosamente le regole anti-contagio e chi non lo fa.


HAI LA MASCHERINA E INCONTRI QUALCUNO CHE NON LA INDOSSA, COSA PENSI?

               

           


NON INDOSSI LA MASCHERINA E INCONTRI QUALCUNO CHE LA INDOSSA, COSA PENSI?

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Chi si riconosce maggiormente nell’area della cura non corre il rischio di dover affrontare con sguardo paranoico il mondo che sta cercando di rifiorire, deve però stare attento a non eccedere nella cura: la fobia di contagiare è dannosa tanto quanto quella di essere contagiati!

 

La riflessione di questo articolo mira a sensibilizzare alla cura dell’altro piuttosto che alla difesa dall’altro al fine di promuovere il corretto e coscienzioso utilizzo di mascherine, osservazione della distanza, igienizzazione e le altre prassi utili ora per essere liberi dopo.

 

 

dott.ssa Paola Marangio
psicologa psicoterapeuta
paolamarangio@gmail.com

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