– di Andrea Innocenti –

Tutti noi viviamo immersi nel mondo digitale. 

Secondo il World Economic Forum (1), ci stiamo avvicinando alla generazione di 463 exabyte (ogni exabyte corrisponde ad un trilione di byte, una cifra quasi inimmaginabile) di dati al giorno, molto. Ogni minuto, nel mondo, vengono inviate quasi 200 milioni di email mentre su Google vengono digitate quasi 4 milioni di ricerche e poco meno di 90mila persone twitta.

La comunicazione digitale (email, messaggistica e social media) è facile e veloce. Possiamo inviare un messaggio in un istante e i destinatari rispondono rapidamente. Tuttavia ha molti limiti. Non ci dà mai tregua, raggiungendoci a qualsiasi orario, anche di notte. Inoltre può capitare di omettere o dimenticare i messaggi che ci arrivano (quante mail giacciono non aperte nella vostra casella?). Enormi fette di comunicazione, specie emotiva, si perdono.

È per questo che hanno preso sempre più piede le emoji (le “faccine”) o le gif animate (in pratica, brevissimi video), che integrano il testo per far capire lo stato d’animo di chi scrive. Hanno cioè iniziato a consentire alla comunicazione digitale di replicare alcuni degli spunti comunicativi non verbali disponibili per l’interazione faccia a faccia.

Quest’ultima è infatti multilivello, contemporaneamente siamo immersi in stimoli acustici, visivi, prossemici, linguistici e paralinguistici. Riassumere questo in un testo risulta necessariamente riduttivo.

La conseguenza più immediata, infatti, sono le incomprensioni che possono nascere dalle comunicazioni digitali; ad esempio il ritardo nella risposta, che può essere letto come segnale di indifferenza, pigrizia o persino ostilità. 

Ma anche il momento della risposta è irto di insidie: sembriamo troppo formali? O invece troppo colloquiali? Ci dilunghiamo troppo? O risultiamo eccessivamente stringati?

Come ognuno di noi si pone verso la comunicazione digitale è influenzato anche da fattori personali. Alcuni studi (2), ad esempio, hanno anche messo in relazione l’utilizzo dei social media con lo stile di attaccamento (traducibile, semplificando, con la modalità prevalente che una persona ha di relazionarsi con gli altri, derivante dal tipo di accudimento che ha ricevuto nelle prime fasi della propria vita).

È emerso che i soggetti con livelli più elevati di ansia da abbandono tendono ad usare i social in modo da sentirsi benvoluti dagli altri: risultavano infatti più propensi a cercare feedback e attenzione, in particolar modo se percepivano emozioni come la tristezza. Tendevano anche a trascorrere più tempo sui social media, condividere in modo eccessivo, mettere in atto comportamenti impulsivi in modo compulsivo o invadente.

Le persone che avevano la tendenza ad un più alto grado di evitamento dell’intimità hanno invece mostrato comportamenti opposti, ad esempio risultava particolarmente improbabile che si rivolgessero ad altri per avere un feedback. A conferma di questo, secondo un’altra ricerca (3), coloro con un attaccamento evitante avevano maggiori probabilità di interagire con le celebrità sui social media, optando per una situazione sociale in cui le connessioni intime sono pressoché impossibili e trovando così conferma della propria tendenza.

Nessuno può ad oggi immaginare un mondo non connesso e sarebbe in realtà potenzialmente cieco non dare atto dell’importanza del digitale nella nostra vita. Ciò non toglie che, quando possibile, sia utile tornare alla comunicazione in tempo reale (che si tratti di voce, video o di persona): basta alzare il telefono!

di Andrea Innocenti, PsicologiaFirenze.it

 

Fonti:

(1) https://www.weforum.org/agenda/2019/04/how-much-data-is-generated-each-day-cf4bddf29f/

(2) Stöven, L. M., & Herzberg, P. Y. (2021). Relationship 2.0: A systematic review of associations between the use of social network sites and attachment style. Journal of Social and Personal Relationships38(3), 1103–1128. https://doi.org/10.1177/0265407520982671

(3) Young Min Baek, Yunkyoung Cho & Heejeong Kim (2014) Attachment Style and its Influence on the Activities, Motives, and Consequences of SNS Use, Journal of Broadcasting & Electronic Media, 58:4, 522-541, DOI: 10.1080/08838151.2014.966362

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