Oramai  ci siamo quasi abituati ai termini  coronavirus, pandemia e lockdown. Sono entrati con irruenza nel nostro vocabolario e nel nostro lessico quotidiano e li utilizziamo così frequentemente che sono diventati dei termini familiari.

I nostri bambini disegnano il sig. Coronavirus e la sig.ra Coronavirus, progettano ospedali con scatoloni o lego e questo ci da la dimensione di come quello che drammaticamente sta avvenendo intorno a noi, sia stato in qualche modo  trasformato nell’esperienza ed elaborato.

Ovviamente non sarà per tutti così ma credo che in un modo o in un altro, buona parte delle persone abbia imparato a convivere con le restrizioni e le indicazioni sanitarie.

In questo periodo siamo stati sovraesposti ad ondate di notizie e immagini che hanno corrisposto ad altrettante ondate di emozioni. La prima data ufficiale del nuovo coronavirus è stata quella del 31 dicembre  2019, ma il tutto avveniva in Oriente, in Cina, confinato a Wuhan. Guardavamo con occhi compassionevoli e sgomento quello che stava accadendo, ma la paura era lontana come lo è Wuhan. Le cose sono poi drasticamente cambiate quando abbiamo iniziato a prendere consapevolezza che il virus era arrivato anche in Italia. Codogno ha iniziato il suo lockdown il 23 febbraio e tutta la Lombardia è stata blindata l’8 marzo. Abbiamo assistito ad ondate di emozioni contrastanti. Credo, per la prima volta in Italia, che i sentimenti razzisti si siano invertiti: la “gente del sud” guardava con sospetto la “gente del nord”. E per chi non aveva ancora capito che le cose erano serie, il 5 marzo 2020 ha tracciato un solco indelebile tra il prima e il dopo:  “in via prudenziale” il governo ha disposto la chiusura di tutte le scuole di ogni ordine e grado dal 5 al 15 marzo.

Anche in questo caso emozioni diverse si sono fatte spazio: sgomento, paura, rabbia e, al contrario, felicità per alcuni, gli studenti. I più piccoli potevano stare più tempo con mamma e papà e i più grandi assaporare una falsa libertà.

I decreti sono continuati, così come le limitazioni, sempre più stringenti e pesanti da sostenere. Abbiamo iniziato a fare i conti con la paura, con la rabbia e con i sensi di colpa. E oggi ci stiamo preparando alla “fase 2”. La tanto attesa riapertura. Ma cosa accadrà? La maggior parte delle persone stanno ragionando su aspetti concreti, sanificazione dei locali, distanziamenti, mascherine, guanti, etc… Nella mia testa però le domande sono altre: cosa succederà da un punto di vista emotivo? Riusciremo a fidarci dell’altro? E la paura, la rabbia, il senso di colpa?

Paura

La paura è un’emozione primaria, presente sia nell’uomo che negli animali. È un’emozione importante, se non la provassimo non saremmo in grado di difenderci e di metterci in salvo. Però la paura la proviamo non solo di fronte ad un pericolo reale, ma anche di fronte all’evocazione di un ricordo o di una fantasia o addirittura essere anticipatoria rispetto alla previsione che qualcosa potrebbe accadere.

Questo ci deve far riflettere sulla funzione che un’emozione così importante potrà avere in un momento come questo, la “fase 2”, qualcosa di sconosciuto, qualcosa che per la prima volta ci troviamo ad affrontare. Inevitabilmente le persone potranno provare la paura di essere contagiate dall’altro che incontreranno a lavoro, nei mezzi pubblici o per strada.

In alcuni casi la paura potrebbe subire delle trasformazioni e tradursi in attacco di panico  oppure trasformarsi in ansia generalizzata, con le peculiari sintomatologie, ed ecco quindi che un pericolo contenuto e limitato di contagio assume un significato di allarme e di rischio eccessivo.

Può succedere quindi che l’uscita per ritornare a lavorare, nonostante sia stata tanto attesa e desiderata, diventi fonte di ansia, così come ritornare dal proprio parrucchiere di fiducia o al bar.

Oppure la paura può trasformarsi e assumere l’aspetto dell’ipocondria, intesa come tendenza eccessiva di preoccuparsi per il proprio stato di salute, leggendo ogni singolo sintomo come segnale inequivocabile  di infezione covid-19. Magari senza rendercene conto potremmo sottoporci a self-check continui: misurazione della febbre, valutazione delle capacità olfattive, ascolto del corpo per registrare qualche algia in qua e là.

Sappiamo che in questo caso la paura fa i conti con un nemico invisibile, che probabilmente sarà più sollecitata rispetto alla presenza di un nemico visibile e quindi in apparenza meno pericoloso. Credo che, come nella “fase 1”, la paura dovrà essere ascoltata  ma anche rassicurata dalle buone prassi e dalle norme igieniche che abbiamo già conosciuto e messo in atto in questo periodo.

Un’attenzione particolare merita la paura di essere esclusi. Penso alle persone che possono essere venute in contato con l’infezione, sia i paucisintomatici che i sintomatici. Che hanno fatto i conti con la malattia e che sono rientrati in casa. La “fase 2” per loro potrebbe evocare una paura maggiore, magari di essere etichettati come untori, incorrendo nel rischio di auto isolarsi ancora di più, difendendosi  evitando l’altro.

Rabbia

La rabbia è una delle emozioni innate che si osserva già nei bambini molto piccoli. La rabbia come la paura è un’emozione importante che ci permette di difenderci e di sopravvivere. In questa emergenza è stata alimentata da motivi diversi: la rabbia verso gli untori, la rabbia verso chi non ha fatto e poteva fare, la rabbia verso chi poteva fare di più, la rabbia verso chi non rispetta le regole. Credo che quest’ultima accompagnerà molte persone anche nella “fase 2”. Sicuramente assisteremo a comportamenti scorretti e inadeguati per il contenimento del virus e sicuramente questo genererà rabbia in alcune persone. Così come potremmo assistere alla rabbia di alcune categorie di lavoratori rispetto alla tante indicazioni da seguire e alle differenze o ingiustizie percepite.

Questo non significa che avremmo tutta una popolazione arrabbiata ma sicuramente questo sentimento continuerà a circolare, come il virus.

Senso di colpa

Il senso di colpa è un sentimento umano che in questo momento storico molte persone, anche tra gli operatori sanitari, si sono trovati a vivere. Molti ad esempio hanno scelto di non rientrare nel propri nuclei familiari, adottando una sorta di auto isolamento per paura di contagiare i propri cari, vivendo sensi di colpa nei confronti di figli, mogli e mariti per non essere fisicamente accanto a loro. La frase “lontani ma vicini” ci ha accompagnati durante l’emergenza sanitaria e chissà per quanto altro tempo ancora lo farà.

Alcuni hanno provato senso di colpa per aver contagiato un familiare, una amico o un paziente. E poi c’è il senso di colpa per essere sopravvissuti.

Non sarebbe così impensabile che qualcuno si possa trovare in difficoltà di fronte ad un collega, ad un amico, al vicino di casa e che non riesca a guardarlo negli occhi perché sa che ha perso un proprio caro a causa dell’infezione da coronavirus.

Nella fase acuta, durante l’emergenza sanitaria più dura, molti hanno sperimentato i segnali di un disturbo post traumatico da stress:

  • Disturbi del sonno
  • Difficoltà di concentrazione
  • Difficoltà di memoria, sia nel fissare nuovi concetti che nel memorizzarne di nuovi
  • Affaticamento, mancanza di energia
  • Irritabilità, irrequietezza
  • Isolamento e chiusura
  • Umore depresso e/o pensieri persistenti e negativi

Ma l’emergenza Covid ha in se una grande differenza rispetto alle altre tragedie. Se  ripensiamo ai grandi terremoti, alla Costa Concordia, a Rigopiano, al ponte Morandi ci rendiamo conto come, dopo lo shock iniziale, le informazioni si sono via assestate. Ma in questo caso i fatti ci dicono ben altro. La popolazione è stata sottoposta a continue informazioni, immagini, dati, con una continua esposizione alla traumatizzazione. Credo che tutto questo avverrà anche nella tanto attesa “fase 2”. Ipotizzo che in un futuro vicino saremo sovraesposti a tutta una serie di informazioni contrastanti e vaghe e che questo determinerà incertezza e insicurezza che andranno ad alimentare la paura, la rabbia e il senso di colpa.

Come nella “fase 1”, credo che sia molto utile tutelarci dall’eccesso di informazioni, perché le troppe immagini disturbanti potrebbero nuocere alla salute sia fisica che psichica. Penso al contrario che sia fondamentale ritagliarsi uno, massimo due momenti al giorno per ascoltare le notizie, evitando i momenti serali affinché non vadano ad influenzare negativamente la qualità del nostro sonno. Sarà inoltre importante reinventarsi una routine che non si distanzi troppo dalle nostre abitudini, tenendo ad esempio conto del fatto che per gli adulti è stata prevista una “fase 2”, ma per i bambini no.

dott.ssa Tiziana Barchiesi
psicologa psicoterapeuta, EMDR, mediatrice familiare
t.barchiesi@libero.it

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